Sudafrica, 26 marzo 2025 - Le ambizioni del Marocco di sfruttare le ricche risorse naturali del Sahara Occidentale sono la radice del protrarsi del conflitto nella regione. Questa è la dura accusa lanciata da Alvin Botes, viceministro sudafricano per le Relazioni Internazionali e la Cooperazione, nonché membro di spicco dell'African National Congress.
In un intervento pubblicato in occasione della Giornata nazionale dei diritti umani sudafricana, che commemora il massacro di Sharpeville del 1960, Botes ha affermato che la continua occupazione del Sahara Occidentale da parte del Marocco, definita "l'ultima colonia africana", è motivata principalmente dall'interesse di Rabat per le abbondanti risorse del territorio.
"Non dobbiamo dimenticare coloro ai quali vengono ancora negati i diritti fondamentali nel Sahara Occidentale, che continua a lottare per ottenere il diritto del suo popolo all'autodeterminazione, decenni dopo la liberazione del resto del continente dal dominio coloniale", ha dichiarato il viceministro.
Botes ha sottolineato come il Sahara Occidentale possegga ingenti riserve di minerali vitali e risorse marine, tra cui uno dei più grandi giacimenti di fosfati al mondo. In particolare, ha evidenziato lo sfruttamento della miniera di "PHOSBOUCRAA", considerata un pilastro fondamentale dell'economia marocchina, contribuendo significativamente alla sua quota nel mercato globale dei fosfati. A ciò si aggiunge, secondo Botes, lo sfruttamento delle acque costiere atlantiche, ricche di vita marina e attrattive per le flotte pescherecce internazionali, e la potenziale presenza di riserve offshore di petrolio e gas.
Il viceministro sudafricano ha inoltre sostenuto che, attraverso l'occupazione, il Marocco ambisce a creare una "vasta zona economica esclusiva" che gli permetta di stipulare accordi di pesca lucrativi, rilasciare licenze di esportazione e imporre altre tasse, sfruttando i porti occupati di Laayoune e Dakhla.
Botes ha definito questa situazione una "maledizione delle risorse", un fenomeno che, a suo dire, non si limita al Sahara Occidentale. "Conflitti simili per i minerali essenziali hanno alimentato conflitti in tutto il mondo, spesso accompagnati da violazioni dei diritti umani", ha scritto, citando l'aggressione israeliana nella Striscia di Gaza e i tentativi di controllare le riserve di gas offshore, nonché le violenze in corso nella Repubblica Democratica del Congo e in Mozambico, spesso legate alla ricerca di risorse naturali.
In questa occasione, Alvin ha ribadito l'impegno del Sudafrica a sostenere la causa del popolo Saharawi, sottolineando come il suo Paese senta "l'obbligo morale e legale, derivante dal diritto internazionale e dalla storia comune, di sostenere la lotta del popolo Saharawi, la cui situazione riflette gli aspetti peggiori del colonialismo: sfollamenti forzati, sfruttamento di risorse vitali di terra, minerali e marine e la negazione sistematica dei diritti fondamentali".
"Se crediamo nella giustizia, il popolo saharawi deve essere libero di determinare il proprio destino", ha concluso Botes, richiamando lo slogan Human Rights 2025 del Sudafrica che invoca "il consolidamento di una cultura di giustizia sociale e diritti umani", un obiettivo che per il popolo Saharawi, a suo dire, potrà essere raggiunto solo attraverso l'attuazione della risoluzione 1514 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla concessione dell'indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali.