Campi profughi saharawi, 29 marzo 2025 - Nei campi profughi saharawi, illuminati dalla flebile luce di una lampada a petrolio, Fatimatu tramanda alla figlia Hurriya un racconto di coraggio e resilienza: la sua nascita durante una fuga disperata dai bombardamenti dell'occupazione marocchina, un viaggio a piedi nudi attraverso il deserto, segnato dalla paura, dalla fame e da un parto improvviso sotto un albero.
La notte era gelida, il vento sferzava la tenda fragile, e il freddo si insinuava tra le fessure che i brandelli di stoffa non riuscivano più a colmare. In questo scenario di precarietà, Fatimatu ripercorre con la memoria i giorni drammatici della sua infanzia. Ricorda il fragore assordante delle bombe che squarciavano il cielo sopra Umm Adriga, la località saharawi presa di mira dall'occupazione. Insieme alla madre Maryam e ad altre due sorelle, si erano ritrovate a fuggire nel buio pesto, senza provviste, senza una meta precisa, spinte solo dal terrore e dal desiderio di sopravvivere.
I loro piedi scalzi fendevano la notte, la velocità dei passi dettata dall'eco delle esplosioni che si faceva sempre più vicino. Camminarono instancabilmente fino all'alba, quando Maryam, con la sua conoscenza del territorio, poté orientare il gruppo alla ricerca di acqua e di un riparo dagli occhi indiscreti e dagli aerei nemici che sorvolavano incessantemente il deserto.
Quella mattina trovarono a stento un po' d'acqua torbida e si rifugiarono sotto una collina. Fu allora che Akhdija, un'altra sorella del gruppo, nonostante la drammaticità della situazione, sentì il richiamo della rivoluzione e decise di non separarsi dalle sue compagne di fuga. Proprio lì, sotto quell'albero solitario, le doglie la colsero all'improvviso. Nessuna delle donne aveva esperienza di parto e non c'era nulla, se non i loro stessi indumenti, per assistere la nascita. Dopo poche ore di travaglio, Akhdija diede alla luce un bambino, un piccolo angelo che chiamò Zaim, "il leader", un nome che racchiudeva la speranza di un futuro di riscatto e di libertà per la sua terra.
Zaim nacque circa un'ora prima del tramonto. La madre, stremata dal viaggio e dal parto, aveva bisogno di cibo e riposo. Ma in quella desolata distesa non c'erano palme né risorse. La notte calava, portando con sé un freddo pungente. Maryam prese una decisione difficile: partire prima del previsto, nella speranza di trovare aiuto per Akhdija e il neonato.
Dopo due ore di cammino nel buio, Maryam scorse la fioca luce di un fuoco lontano. Una speranza si accese nel suo cuore, mentre la piccola Fatimatu si lamentava per il dolore ai piedi e una fame lancinante. Tra le braccia stringeva Zaim, avvolto in un lembo della sua coperta, mentre Akhdija si appoggiava alle altre due sorelle, Mubaraka e Imilmanin. Avvicinandosi alla luce, trovarono una piccola tenda abitata da una famiglia nomade: una madre, le sue due figlie e un bambino piccolo. Il padre era assente, impegnato a raccogliere legna e acqua.
La vista di quelle donne stremate e del neonato commosse profondamente la proprietaria della tenda. Senza esitazione, offrì loro tutto l'aiuto possibile, le lacrime di compassione a rigarle il volto. Khadija e Fatimatu ricevettero cibo a sufficienza per placare la loro fame, e anche le altre furono rifocillate. La donna beduina le accolse con la generosità tipica delle genti del deserto e le ospitò nella sua modesta dimora fino al mattino. Quando fu il momento di riprendere il cammino, la padrona di casa insistette affinché rimanessero per l'intera giornata, opponendosi con fermezza alla loro partenza.
Solo dopo il tramonto del giorno seguente, le donne ripresero il loro viaggio, ora più fiduciose grazie alle preziose indicazioni ricevute. Camminarono fino all'alba successiva, quando la luce del sole rivelò un camion che solcava il deserto, carico di saharawi sfollati in cerca di salvezza. Il camion si fermò per loro e Maryam, Fatimatu, Akhdija e il piccolo Zaim trovarono posto nel rimorchio, mentre le altre due sorelle si unirono agli altri rifugiati nel cassone.
Questa incredibile storia di fuga e di resilienza è rimasta impressa nella memoria di Fatimatu, che la racconta con vividi dettagli alla figlia Huriya, ora pronta per iniziare la scuola in un centro algerino. Un racconto che passa di madre in figlia, un monito contro l'occupazione e la violenza, un inno alla forza delle donne e alla tenacia di un popolo che non si arrende.
Dall'immaginazione di una bambina, testimone di quella fuga disperata, al cuore di una nuova generazione, la storia di Fatimatu e della nascita di Zaim si fa simbolo della lotta del popolo saharawi per la libertà e l'indipendenza. Una lotta che si tramanda di padre in figlio, alimentata dal desiderio di tornare in una terra libera e orgogliosa, dove la bandiera saharawi possa sventolare alta tra le nazioni.