Roma, 20 gennaio 2025 - Il quotidiano italiano Il Manifesto ha recentemente pubblicato un articolo di Mohamed Dihani, difensore dei diritti umani saharawi, che getta luce sull'allarmante intersezione tra diffamazione e repressione in Marocco e nel Sahara Occidentale. L'articolo denuncia come il Regno di Mohammed VI utilizzi sistematicamente campagne diffamatorie, spesso orchestrate attraverso media compiacenti e "troll" online, per silenziare voci critiche e reprimere il dissenso.
Un Sistema Repressivo Orchestrato:
La diffamazione è diventata un'arma politica di primaria importanza in Marocco. Un esempio emblematico è la campagna diffamatoria scatenata contro Aziz Ghali, presidente dell'Associazione marocchina per i Diritti umani, colpevole di aver espresso posizioni sulla questione del Sahara Occidentale in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite, divergenti dalla posizione ufficiale del Marocco. Questa campagna, caratterizzata da attacchi online e accuse di tradimento, ha mirato a screditare Ghali e a minacciare la sua incolumità. La Commissione marocchina a sostegno dei detenuti politici ha denunciato come tali aggressioni siano una diretta conseguenza dell'impegno di Ghali nella denuncia della corruzione e nel sostegno ai detenuti politici.
La Diffamazione Come Strumento di Repressione:
Il fenomeno della diffamazione in Marocco e nel Sahara Occidentale ha assunto proporzioni preoccupanti, minacciando la società civile e trasformandosi in uno strumento repressivo per mettere a tacere le voci dissidenti. A partire dal 2013, sono proliferati migliaia di siti web e account sui social media, molti dei quali collegati, direttamente o indirettamente, agli apparati di sicurezza. Queste piattaforme, anziché fornire informazione obiettiva, attaccano chiunque osi criticare lo Stato, la famiglia reale o la questione del Sahara Occidentale, definito "territorio occupato" dalle Nazioni Unite, come ribadito anche dalla Corte di Giustizia Europea.
Le campagne diffamatorie si concretizzano in accuse di tradimento che spesso sfociano in condanne severe, come nel caso dei detenuti di "Gdeim Izik", 19 attivisti e giornalisti saharawi condannati fino all'ergastolo per aver partecipato a una protesta pacifica nel 2010.
Casi Emblematici di Persecuzione:
Questa persecuzione sistematica è parte di una politica repressiva attuata dagli apparati di sicurezza marocchini. Il caso del giornalista Soulaiman Raissouni, noto per le sue critiche al potere e per le sue denunce di corruzione, è particolarmente significativo. Raissouni è stato oggetto di continue campagne diffamatorie che hanno portato alla sua incarcerazione per cinque anni. Nonostante la recente grazia reale, Raissouni ha denunciato nuove minacce e una rinnovata campagna diffamatoria nei suoi confronti, sottolineando la persistente precarietà della libertà di espressione in Marocco.
Un rapporto di Human Rights Watch di due anni fa, intitolato "Fiq Fiq" ("Ti colpiranno comunque"), ha documentato le tattiche utilizzate dalle autorità marocchine per silenziare il dissenso, evidenziando come il governo utilizzi pretesti legali per violare sistematicamente una lunga serie di diritti, tra cui il diritto alla privacy, alla salute, alla sicurezza fisica, alla proprietà e a un giusto processo.
Un Giornalismo Sotto Attacco:
Il fenomeno della diffamazione non si limita al caso di Raissouni, ma colpisce decine di giornalisti e attivisti, tra cui Omar Radi e Taoufik Bouachrine. Il giornalismo indipendente in Marocco è diventato un bersaglio primario delle politiche repressive. Il giornalista Ali Anouzla ha definito questo fenomeno come "giornalismo di diffamazione e bullismo", denunciando una politica integrata adottata da media sostenuti dalle autorità, che operano sistematicamente per screditare gli oppositori e diffondere falsità.
Spionaggio Digitale e Controllo Totale:
Gli apparati di sicurezza marocchini hanno inoltre intensificato l'uso di tecniche di spionaggio digitale, con l'acquisto del software israeliano "Pegasus". Un'indagine di Amnesty International ha rivelato come questo programma sia stato utilizzato per spiare migliaia di persone in Marocco e all'estero, inclusi funzionari internazionali di alto livello. Questi strumenti digitali vengono impiegati non solo per la sorveglianza, ma anche per raccogliere dati personali da utilizzare in campagne diffamatorie o per esercitare pressioni sulle vittime.
Un Ritorno agli "Anni di Piombo"?
La situazione attuale in Marocco ricorda il periodo degli "Anni di piombo" sotto il regno di Hassan II. Le speranze suscitate dall'ascesa al trono di Mohammed VI non si sono concretizzate in un reale miglioramento della situazione dei diritti umani e della libertà di espressione. Al contrario, si è assistito a un'escalation delle tecniche di repressione, con l'introduzione di strumenti avanzati per controllare l'opinione pubblica e reprimere il dissenso.
Giornalisti e attivisti per i diritti umani in Marocco e nel Sahara Occidentale vivono costantemente sotto la minaccia della diffamazione e della repressione, costringendo molti di loro all'esilio. Tra questi, l'autore stesso dell'articolo, Mohamed Dihani, che da tre anni attende protezione internazionale.
Questo articolo offre un quadro allarmante della situazione in Marocco e nel Sahara Occidentale, denunciando una sistematica violazione dei diritti umani e una pericolosa regressione delle libertà fondamentali.