Sahara occidentale, 16 dicembre 2025 - Un nuovo e grave capitolo si aggiunge alla lunga serie di violazioni della sovranità del popolo saharawi sulle proprie risorse naturali. Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti stanno infatti promuovendo, insieme allo Stato occupante marocchino, un modello di sviluppo economico nel Sahara Occidentale che, dietro la retorica della “transizione verde” e della sostenibilità ambientale, contribuisce a consolidare un’occupazione illegale in aperta violazione del diritto internazionale.
Il Sahara Occidentale è riconosciuto dalle Nazioni Unite come territorio non autonomo, il cui processo di decolonizzazione resta incompiuto. Dal 1975 gran parte del territorio è occupata dal Regno del Marocco, senza che sia mai stato celebrato il referendum di autodeterminazione promesso alla popolazione saharawi. In questo contesto, qualsiasi sfruttamento delle risorse naturali senza il consenso libero ed esplicito del popolo saharawi è illegittimo.
Un’alleanza economica contro il diritto internazionale:
Al centro di questa strategia emerge una alleanza in via di consolidamento tra fondi sovrani emiratini, grandi aziende statunitensi e la U.S. International Development Finance Corporation (DFC), un’agenzia pubblica statunitense creata nel 2019 per sostenere investimenti in contesti considerati ad alto rischio.
Il coinvolgimento della DFC nel Sahara Occidentale non ha un obiettivo neutrale: mira esplicitamente a ridurre e mascherare i rischi legali derivanti dall’occupazione del territorio, fornendo copertura finanziaria e politica a progetti che, in condizioni normali, sarebbero incompatibili con il diritto internazionale.
Un’economia costruita sull’esclusione del popolo saharawi:
La giurisprudenza internazionale, a partire dal parere della Corte Internazionale di Giustizia del 1975, è chiara: non esistono legami di sovranità tra il Sahara Occidentale e il Marocco. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ribadito più volte che qualsiasi attività economica nel territorio è illegale se non avviene con il consenso del popolo saharawi, rappresentato legittimamente dal Fronte Polisario.
Eppure, i progetti oggi in discussione:
- vengono avviati senza alcuna consultazione del popolo saharawi;
- escludono completamente il Fronte Polisario, riconosciuto dall’ONU come suo rappresentante legittimo;
- si basano unicamente su istituzioni marocchine imposte nel territorio occupato, prive di legittimità internazionale.
Il ruolo chiave degli Emirati Arabi Uniti:
Sul fronte emiratino, i principali attori coinvolti sono due dei più potenti fondi sovrani del mondo:
- ADQ (Abu Dhabi Development Holding Company), holding pubblica che gestisce settori strategici dell’economia emiratina;
- ADIA (Abu Dhabi Investment Authority), uno dei maggiori fondi sovrani globali, guidato da Tahnoon bin Zayed Al Nahyan.
Entrambi i fondi sono già fortemente presenti in Marocco e puntano ora ad espandere i propri investimenti nel Sahara Occidentale, con particolare attenzione al settore delle energie rinnovabili, presentate come politicamente accettabili e ambientalmente sostenibili.
La “transizione verde” come copertura giuridica:
I negoziati in corso riguardano soprattutto la costruzione di parchi eolici e solari nel Sahara Occidentale occupato, sotto la supervisione di grandi aziende emiratine come:
- Masdar, società pubblica specializzata in energie rinnovabili;
- Amea Power, gruppo privato attivo nel settore eolico e solare;
- TAQA (Abu Dhabi National Energy Company), colosso energetico pubblico collegato al gruppo marocchino Nareva, controllato dalla holding reale Al Mada.
Tuttavia, il diritto internazionale non distingue tra risorse fossili e rinnovabili: anche lo sfruttamento di energia “verde” è illegale se avviene senza il consenso del popolo del territorio occupato. La sostenibilità ambientale viene così utilizzata come strumento di legittimazione politica di un saccheggio economico.
Istituzioni locali come facciata di legittimità:
I colloqui vengono condotti con il Centro Regionale di Investimento di Dakhla-Oued Ed-Dahab, un organismo marocchino incaricato di attrarre investimenti. Queste strutture amministrative, imposte dall’occupazione, non godono di alcun riconoscimento internazionale e servono esclusivamente a creare una illusione di governance locale, aggirando il principio fondamentale dell’autodeterminazione.
Il ruolo decisivo degli Stati Uniti:
Washington svolge un ruolo centrale in questa strategia. La DFC ha annunciato un pacchetto di finanziamenti fino a 5 miliardi di dollari per sostenere l’insediamento di imprese statunitensi a Dakhla. Parallelamente, gli Stati Uniti stanno preparando l’apertura di un consolato nella città, dando seguito al riconoscimento unilaterale della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale deciso dall’amministrazione Trump nel 2020.
Un riconoscimento privo di valore giuridico internazionale, ma con profonde conseguenze politiche, che contribuisce a rafforzare la politica del fatto compiuto.
Una strategia per rendere irreversibile l’occupazione:
L’asse Rabat–Abu Dhabi–Washington sta costruendo un’economia dell’occupazione fondata su investimenti, infrastrutture e integrazione economica, con l’obiettivo di:
- svuotare di contenuto il processo di pace delle Nazioni Unite;
- marginalizzare il diritto internazionale;
- trasformare un’occupazione militare in una realtà economica “normalizzata”.
Responsabilità politiche e giuridiche:
Partecipando a questi progetti, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti si espongono a responsabilità giuridiche indirette per il loro coinvolgimento nello sfruttamento di un territorio occupato. Le aziende coinvolte potrebbero inoltre affrontare in futuro azioni legali, come già accaduto a numerosi gruppi europei davanti ai tribunali dell’Unione Europea.
Il Sahara Occidentale resta uno degli ultimi grandi casi di decolonizzazione incompiuta. Invece di sostenere il diritto del popolo saharawi all’autodeterminazione, gli investimenti internazionali vengono oggi utilizzati per aggirarlo, consolidando un’occupazione che il diritto internazionale continua a considerare illegale.
