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“Non siete i benvenuti”: cronaca di un allontanamento nel Sahara Occidentale e della repressione che colpisce anche l’informazione


Roma, 2 maggio 2025 - Nella notte tra il 26 e il 27 aprile, poco dopo la mezzanotte, dieci agenti della sicurezza marocchina hanno fatto irruzione nella stanza d’albergo di Matteo Garavoglia (giornalista) e Giovanni Culmone (fotografo), a El Aaiún, capitale amministrativa del Sahara Occidentale. I due si trovavano nella regione per lavoro giornalistico, all’interno di un viaggio che li aveva portati nel Paese già dal 30 marzo, con un regolare visto turistico e senza mai celare la propria professione. La motivazione fornita dagli agenti è stata chiara: "Non siete persone gradite in questa zona".

Scortati fuori dalla città, i due sono stati accompagnati prima ad Agadir in taxi, poi in autobus fino a Marrakech. Dopo altri due giorni in Marocco, trascorsi sotto stretta sorveglianza da parte di agenti in borghese e in costante contatto con l’Ambasciata italiana a Rabat, sono rientrati in Italia il 29 aprile con un volo di linea.

I fatti e le falsità:
Nei giorni successivi, diversi media marocchini – seguiti in alcuni casi da testate italiane – hanno pubblicato ricostruzioni dei fatti contenenti numerose imprecisioni e falsità. Secondo alcune fonti, Garavoglia e Culmone sarebbero entrati a El Aaiún a bordo di un’auto privata, senza le necessarie autorizzazioni, e con l’intenzione di diffondere propaganda separatista sotto falsi pretesti. È stato inoltre riportato che si trattasse del loro secondo tentativo di entrare illegalmente nella regione.

Queste affermazioni sono false. I due professionisti hanno raggiunto El Aaiún con un autobus turistico, dopo aver volato da Casablanca a Dakhla per documentare la repressione che il regime marocchino esercita su dissidenti, attivisti e giornalisti, sia all'interno del Paese che a livello transnazionale. Nessuna attività giornalistica è stata condotta a El Aaiún, dove erano arrivati da appena tre ore quando sono stati allontanati. Tecnicamente non si è trattato di un’espulsione, bensì di un invito coatto a lasciare la città.

Una prassi sistematica di repressione:
Questo episodio non è un caso isolato. Da anni, nei territori occupati del Sahara Occidentale, il Marocco impedisce l’ingresso a osservatori indipendenti, rappresentanti istituzionali europei, relatori delle Nazioni Unite, attivisti per i diritti umani e giornalisti. Amnesty International, Reporter Senza Frontiere e altri organismi internazionali hanno denunciato centinaia di casi simili.

Diffamazione e silenzio:
Oltre all’allontanamento, i due colleghi si sono ritrovati bersaglio di una campagna diffamatoria, uno degli strumenti preferiti dai regimi autoritari per screditare chi cerca di raccontare la verità. Le accuse, infondate e pericolosamente rilanciate da alcuni media italiani senza alcuna verifica, sono emblematiche del clima in cui opera il giornalismo d’inchiesta sul campo.

La forza delle parole:
Il Centro di Giornalismo Permanente, che sostiene il lavoro di Garavoglia e Culmone, condanna fermamente la diffusione di notizie false e la mancanza di rigore da parte di alcune testate italiane. Le parole contano. Possono informare, distorcere, legittimare oppure smascherare. In territori dove la verità è sistematicamente repressa, il dovere del giornalismo è quello di resistere, verificare e raccontare.

Garavoglia e Culmone sono rientrati in Italia con nuove storie da condividere e una consapevolezza ancora più forte: la notizia non sono loro, ma le persone che vivono ogni giorno sulla propria pelle la repressione. Il loro impegno resta lo stesso: dare voce a chi, nonostante tutto, continua a usare le parole per raccontare la verità.

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