Roma, 3 febbraio 2025 - In un'intervista esclusiva rilasciata al sito di notizie algerino "Africa News", l'attivista per i diritti umani saharawi Mohamed Dihani ha lanciato un'accusa all'intelligence marocchina starebbe deliberatamente creando e manipolando il terrorismo all'interno delle proprie prigioni.
Dihani, che ha subito anni di ingiusta detenzione in Marocco con accuse преtestuose, ha rivelato i metodi inquietanti con cui i detenuti vengono plagiati e usati per alimentare piani di sicurezza volti a giustificare la repressione, silenziare il dissenso e promuovere il ruolo del Marocco come baluardo nella lotta al terrorismo.
"Mi è stato offerto personalmente di collaborare con loro come saharawi contro il mio stesso popolo", ha dichiarato Dihani. "Volevano che reclutassi persone in Italia e nel Sahara Occidentale per formare una finta organizzazione terrorista che avrebbe inscenato attacchi. Questi atti sarebbero stati falsamente attribuiti ai saharawi per screditarli agli occhi del mondo".
Il rifiuto di Dihani di accettare questo patto con il diavolo gli è costato anni di torture brutali nelle carceri marocchine. La sua testimonianza non è un caso isolato, ma la punta dell'iceberg di una politica sistematica che le agenzie di sicurezza marocchine perpetrano da decenni contro saharawi e marocchini.
Dihani ha rivelato che alcune delle cosiddette "cellule terroristiche" smantellate dalle autorità marocchine erano in realtà gruppi manipolati nelle prigioni, come la "Cellula Andalus" e la "Cellula Amgala". I membri di questi gruppi non avevano mai nemmeno messo piede nel Sahara Occidentale ed erano sempre stati detenuti in strutture marocchine.
"La prigione segreta di Temara non era solo un luogo di detenzione, ma una fabbrica di terrorismo", ha affermato Dihani. "Alcuni detenuti venivano indottrinati a diventare strumenti di piani di sicurezza in cambio della libertà e di denaro".
Oltre alle torture fisiche e psicologiche, Dihani ha denunciato le condizioni disumane delle prigioni marocchine, dove i diritti umani vengono sistematicamente violati. Ha raccontato di aver trascorso sei mesi nella prigione segreta di Temara, dove ha subito torture continue per 23 giorni.
Ma la repressione non si limita alla violenza fisica. Dihani ha spiegato come le agenzie di sicurezza marocchine utilizzino campagne di diffamazione sui media per mettere a tacere gli oppositori, citando i casi dello storico Maati Monjib, dei giornalisti Fouad Abdelmoumni e Afaaf Bernani e dell'attivista per i diritti umani Aziz Ghali.
Nonostante queste tattiche repressive, Dihani ha assicurato che sia gli attivisti saharawi che marocchini continuano a resistere a queste politiche oppressive, sia dentro che fuori dalle prigioni.
"Il regime marocchino si affida alla repressione e all'inganno per mantenere il potere", ha concluso Dihani. "Ma più ricorre alla brutalità, più smaschera la sua natura autoritaria, rendendo sempre più difficile nascondere le sue azioni all'opinione pubblica locale e internazionale".
Questa intervista esplosiva getta una luce sinistra sulle operazioni occulte dell'intelligence marocchina, che non solo finge di combattere il terrorismo, ma lo crea e lo sfrutta attivamente come pretesto per la repressione e per soffocare le voci dell'opposizione. Mentre queste pratiche continuano, la pressione internazionale su Rabat affinché riveli la verità e punisca i responsabili di queste violazioni aumenta.
Per l'intervista completa in arabo, clicca sul link sottostante: